CAMPI PER PRIGIONIERI DI GUERRA DELLA RSI, NAZISTI E COLLABORAZIONISTI
1943 - 1946
 

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SCHEDA

BIBLIOGRAFIA

SCHEDA DI COLTANO

 

Campi per prigionieri di guerra della RSI, nazisti e collaborazionisti (1943-1946)

Dopo l’8 settembre 1943, gli eserciti alleati che risalivano lungo la penisola italiana catturarono numerosi prigionieri appartenenti alle truppe naziste ed alla neo Repubblica sociale italiana.

Nelle zone liberate dell’Italia, gli anglo-americani allestirono diversi campi per l’internamento di costoro. Le strutture da adibire a campo spesso erano ricavate dal riadattamento di edifici già esistenti, ex caserme, fabbriche, ex campi nazifascisti, oppure costruiti con attendamenti e baraccamenti di fortuna, come nei più noti casi dei campi di concentramento di Coltano (Pisa) e di S. Andrea di Taranto, denominato campo “S”.

Oltre ai prigionieri della Rsi, in questi campi erano reclusi ex appartenenti alle forze armate nazi-fasciste ed una speciale categoria di internati denominata “recalcitranti”. Questa comprendeva tutti coloro che erano appartenuti a formazioni di SS e di polizia (in maggioranza alto-altesini bilingue), componenti delle Brigate Nere, della Legione “Muti”, della X Flottiglia Mas, del reggimento paracadutisti della “Folgore”, ed altri giovanissimi che avevano militato nelle formazioni del Maresciallo Graziani.

Subito dopo la fine del conflitto, la gestione e la dimensione organizzativa dei campi per prigionieri di guerra risulta piuttosto confusa ed approssimativa, a causa della notevole quantità di “displaced persons” dei quali urgeva una sistemazione. In alcune strutture, quali i campi di San Rossore e Miramare, insieme ai prigionieri di guerra italiani erano internati alto-atesini e tedeschi. Nelle baracche di Fossoli di Carpi convivevano criminali di guerra ed ex deportati reduci dai lager nazisti. Mentre i campi di Miramare (Rimini) e Riccione furono destinati prevalentemente all’internamento di militari nazisti, molti dei prigionieri italiani provenienti dai campi delle colonie francesi in Algeria e Tunisia furono trasferiti nelle strutture di Afragola e Padula. I civili italiani sospettati di spionaggio o di attività ostili alle forze alleate furono, invece, reclusi nel campo di Collescipoli (Terni), denominato campo “R”.

Alle donne accusate di aver militato nelle formazioni della Rsi o di aver collaborato con i nazisti, fu destinato il campo di Scandicci, ed in seguito quello di Caselline, entrambi situati in provincia di  Firenze.

La maggior parte delle strutture aveva una capienza di alcune migliaia di persone, anche se il numero di internati presenti subiva continue variazioni a causa dei rimpatri, dei trasferimenti, ma soprattutto dalle liberazioni, che dai primi mesi del 1946 fino alla fine dello stesso anno si susseguirono fino alla definitiva dismissione dei campi. Gli ultimi ad essere chiusi furono quelli di Collescipoli e Laterina (Arezzo), nei quali erano stati reclusi i fascisti ritenuti “non liberabili” a causa dei crimini commessi durante la guerra.

La liberazione della gran parte dei prigionieri repubblichini e dei collaborazionisti italiani avvenne tra la fine del 1945 ed i primi mesi del 1946, favorita dal passaggio della gestione dei campi dagli alleati alle autorità italiane.

Il campo di Coltano, che ospitò più di 32.000 persone, risulta il più grande campo per prigionieri della Rsi attivato in Italia dagli alleati, oltre che la struttura in cui le condizioni di vita risultarono più precarie, a causa del sovraffollamento e delle carenze igieniche.

Gli edifici che ospitarono i prigionieri di guerra tedeschi rimasero sotto la direzione alleata fino al loro definitivo scioglimento, avvenuto tra l’estate e l’autunno del 1946. Il campo di Miramare, in particolare, fu l’ultimo ad essere smantellato dagli alleati.

E’ da questi luoghi, va sottolineato, che molti criminali di guerra, e tra di essi lo stesso Erich Priebke, riuscirono ad ottenere documenti e protezioni per poi rifugiarsi nei Paesi dell’America Latina.

Bibliografia:

Vittorio De Marco, Il “Campo di S. Andrea” presso Taranto e l’azione caritativa di Mons. Bernardi (1945-46), in “Cenacolo”, (a cura della) Società di Storia Patria per la Puglia sezione Taranto, N.S. VII (XIX), Mandese Editore, Taranto, 1995, pp. 145-168;

Giovanna Tanti (a cura di), Il dopoguerra: il campo di concentramento di Coltano (1945), Archivio di Stato di Pisa, 2002;

Piero Ciabattini, Coltano 1945, Mursia, Milano, 1995;

Coltano

Il campo di prigionia n. 337 di Coltano fu allestito dagli americani, subito dopo la fine del conflitto, in una piana  in provincia di Pisa. La struttura, compresa in un’area di 510 m. di estensione e 700 m. di lunghezza, era costituita di alcuni baraccamenti e numerosi  attendamenti, e molti prigionieri furono costretti a vivere all’aperto a causa del sovraffollamento.

Il campo ospitò oltre 32.000 internati, per la maggior parte soldati della Rsi e reduci dai campi di prigionia in Germania, ma anche alcuni militari italiani che avevano collaborato con i partigiani, questi ultimi internati sicuramente a causa della confusione e delle notevoli difficoltà di riconoscimento di coloro che erano privi di documenti di identità e che non erano in grado di dimostrare la loro estraneità al passato regime.

Secondo le fonti ufficiali, nel campo di Coltano furono internati 3.472 ufficiali dell’esercito, 359 civili, 24.717 soldati di truppa, 994 prigionieri che dichiaravano di essere partigiani e 2.506 disertori dell’esercito repubblicano.

Le condizioni di vita di costoro furono alquanto precarie, a causa soprattutto del sovraffollamento, della scarsa disponibilità di cibo ed acqua e di carenze igieniche e sanitarie.

Il 28 agosto del 1945 la gestione del campo fu devoluta alle autorità italiane sotto il controllo del 3° Reggimento Guardie, con la direzione del Colonello Francesco Marinai. A partire da questa data furono numerosi i familiari degli internati che, provenienti da varie parti d’Italia, si recarono a Coltano per chiedere notizie dei propri cari e la loro liberazione, mentre le autorità locali e le rappresentanze ecclesiastiche si rivolsero alla Presidenza del Consiglio dei Ministri affinché risolvesse la ingestibile situazione del campo.

Il 20 settembre successivo, il Ministero dell’interno dispose la costituzione di una Commissione che si occupasse di esaminare la posizione degli internati nel campo. Il 24 seguente il Prefetto della Provincia di Pisa nominò la Commissione, che a sua volta costituì altre 41 sottocommissioni delle quali 36 militari, che iniziarono immediatamente ad analizzare la situazione nel campo.

In un mese furono liberate circa 30.000 persone, mentre altri 2.700 internati furono trasferiti in altre strutture: 1.637 furono inviati al campo di Laterina (AR); 45, tra ufficiali, generali e colonnelli vennero trasferiti a Forte Boccea a Roma; 187 militari della marina furono destinati al campo di Narni; 251 ricercati dal centro di controspionaggio di Firenze e 246 ricercati da varie Questure furono rimpatriati con foglio di via obbligatorio. Risultano, inoltre, ben 313 le persone prelevate da varie Questure per rispondere di reati e crimini di guerra, ed una prelevata dal centro di controspionaggio di Firenze.

Nel novembre del 1945 il campo fu completamente smantellato. Mentre molti dei prigionieri fecero rientro nelle proprie case, una parte di essi, dichiarata “non liberabile”, rimase ancora per alcuni mesi internata in altri campi della penisola.

 

Bibliografia:

 Giovanna Tanti (a cura di), Il dopoguerra: il campo di concentramento di Coltano (1945), Archivio di Stato di Pisa, 2002;

 Piero Ciabattini, Coltano 1945, Mursia, Milano, 1995;