Il campo di Villa Oliveto
Gli ebrei libici e il fascismo



Il 16 gennaio 1942 arrivano al campo ebrei libici di cittadinanza inglese provenienti da Tripoli. Nel settembre 1941 erano infatti stati sgombrati dalla Libia circa 7.000 cittadini stranieri, tra i quali 1.600 ebrei cittadini francesi, poi inviati in Tunisia, e 870 cittadini inglesi di razza ebraica, che furono smistati nei campi italiani.

Il rapporto tra ebrei libici e fascismo era stato per tutti gli anni Venti e Trenta di sostanziale collaborazione.

Gli ebrei ottengono dal fascismo una maggiore protezione nei confronti dei divieti imposti dalla legge mussulmana e nuove opportunità di progresso economico e culturale. Non a caso si assiste in questo periodo ad una grande diffusione della conoscenza dell’italiano, anche in ragione di rapporti sempre più stretti tra ebrei libici ed ebrei italiani.

Il fascismo - soprattutto negli anni della rivolta araba contro la dominazione coloniale italiana (1915-1931) - trova nella comunità ebraica un alleato prezioso, anche in ragione del suo crescente peso nella vita economica della colonia, nella quale controlla circa il 70% della rete commerciale.

La situazione comincia bruscamente a cambiare con l’adozione nel 1938 delle leggi razziali, la cui applicazione in Libia viene tuttavia differita fino al 1940 ad opera di Cesare Balbo, governatore della colonia.

Un netto peggioramento dei rapporti si ha con l’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale. Nel luglio del 1941 viene istituito a Giado (250 km. da Tripoli) un campo di internamento per italiani e libici, in cui perderanno la vita oltre 500 ebrei. Nel 1942 si ha la piena estensione alla Libia della legislazione razziale vigente in Italia dal 1938.







Pianta di Tripoli con il quartiere ebraico indicato in giallo (inizio del XX secolo), da Renzo De Felice, Ebrei in un paese arabo, cit.


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